sabato 29 novembre 2008

Frammenti

ore 3.24 A.m.

Le scarpe da ginnastica nere di Aldo seguono il ricordo di una pozzanghera, diventata ghiaccio per la bassa temperatura. Le mani infreddolite si infilano frettolosamente nelle tasche del piumino alla ricerca delle chiavi del cancello. Le mani rallentano la loro azione confortate dalla temperatura e mosse da una molle volontà di rimanere lì, schiacciate tra i due lati delle tasche. La mano destra inizia la ricerca mentre la sinistra si ferma come in attesa di qualcosa. La ricerca termina dopo pochi istanti e Aldo infila le chiavi nella toppa del cancellino di casa. Gira lentamente la chiave, scosta il cancello ed entra in giardino.. Dopo pochi passi, si ferma esitante come se avesse scordato qualcosa e in effetti è così. La testa leggermente ostacolata dalla sciarpa, si inarca verso l'alto e gli occhi si aprono verso il cielo. Aldo espira e la differenza di temperatura tra il suo corpo e il mondo, gli getta una piccola nebbia negli occhi. Aldo osserva.
"Non ho mai visto una notte così. Palloni infuocati si muovono a velocità incredibile ma sono piccoli punti statici... Sono piccole aghi roventi, e credo che se qualcuno mai potesse scaraventarmi contro il cielo, rimarrei trafitto e sofferente... credo che se allungasi un dito su una stella mi pungerei. Potrei sentire il calore di una goccia di sangue girovagare prima sui miei polpastrelli e poi, volendo, tra le mie papille. Spero che non crolli. Tutto ciò fa paura, mi toglie l'energia per stare in piedi, mi incrina le costole. Tutto ciò è bellissimo, tutto ciò è bellissimo."
Aldo abbassa la testa incerto, il cotone della sciarpa si distende sulla parte posteriore del collo. Le scarpe nere lentamente incominciano a fare il loro lavoro, Aldo cammina.

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Ore 8.03 A.m.

Aldo sente la vescica che lo trascina fuori dal mondo dei sogni, Aldo apre gli occhi a fatica, sente le palpebre incollate. Richiude le palpebre sforzandole e una specie di fruscio gli scuote il cervello, non vorrebbe alzarsi. Il caldo del letto lo lascia in uno stato di catalessi, in qualche modo avvolto nel suo piumone Aldo si sente indeterminato, indefinito. Riesce, tra il caldo delle lenzuola, a naufragare tra le sue volontà incurante de
lle esigenze di principi fisici e morali, ma si sa ad una pisciata come si deve di certo non si può resistre. Aldo si leva dal letto, appoggia le piante dei piedi al pavimento di marmo freddo. Da questo momento inizia la vita, crollano le illusioni. La luce penetra dagli scuri leggermente scostati e la finestra mostra un paesaggio invernale con il cielo bianco, e la luce fioca. Le case, la strada l'ambiente, sono pallidi, sembrano vecchi, ammalati. Aldo non può fare a meno di pensare che sembrano un album per bambini, con le figure da colorare. Aldo percorre il piano di sopra, percependo solo il calore in diminuzione sui piedi.
Va in bagno e qui non mi dilungherò su particolari. Ognuno a suo modo è particolare pure nella banalità delle operazioni compiute nell'intimità tra un water e un bidet, e Aldo non esce da questa categoria. Uscendo dal bagno Aldo passa davanti alla camera dei suoi genitori. Aldo vede la porta semiaperta. La luce proveniente dalla finestra a nord-ovest della camera illumina due sagome più grande e una più piccola tra le due. Sono i genitori e la sorella, ancora piccola, coperti da un piumone di color verde acceso. Il silenzio, quella visione, e il freddo dei piedi nudi lo animano, lo colpisono. Si sente come un bambino che si è svegliato prima di tutti il giorno di Natale, e non resistendo e osserva con bramosia e i regali sotto l'albero e immagina di svolgere la carta, pregusta.. Aldo è intimante felice di sentirsi così, si sente come rinnovato, ingenuo, nuovo alla vita. Il freddo lo coccola, lo tiene attaccato a questa immagine. Aldo torna a letto, si ricorica, ma non prende sonno subito, è ansioso. Il caldo tuttavia lo stordisce, lo imbambola, lo seda, l'accompagna, gli paga un biglietto per un naufragio organizzato nel mondo dei sogni.

domenica 28 settembre 2008

Lutezi

Antefatto: questo post non parla ne della crisi di Alitalia, ne di Mourinho, ne delle ghiandole sudoripare dei nuovi amori di Manuela Arcuri... Credo che tali argomenti, per quanto importanti per la crescita personale di un individuo siano trattati in maniera ottimale e critica dai vari giornali e telegiornali, per cui rivolgetevi altrove...

Remando fra piccole apache vestite di bianco mi sento come spesso mi capita diverso. Per una volta mi identifico, mi riconosco e mi stringo a me stesso coccolandomi, mi sento Lutezio (Lu). Anzi, sono Lutezio (Lu). Non mi cullo più nella speranza di essere Fermio (Fm), Einstenio (Es) o nella magnifica presunzione di essere Plutonio (PU) o Uranio (U), sono Lutezio (Lu). Non mi gingillo nell'Argento (Ag), non mi lustro nell'Oro (Au) e tanto meno sono figo come il Mercurio (Hg), sono Lutezio (Lu), lo riconosco e apprezzo notevolmente il valore della mia scoperta. Mi sento ignoto ai più, riconosciuto ai meno, e incompreso a tutti. Sono due isotopi, anche se uno, stabile e palloso, si presente a dosi veramente massiccie. Seguo il filo di una corda di rame, spaccata da mani di forbice, fino a trovare l'imboccatura della finestra, scosto leggermente lo straccetto appesso alla maniglia. La apro lasciando entrare nella stanze piccole particelle di comune azoto e ossigeno ad una temperatura media di 11 °C. I peli del corpo, stranamente di poliuretano espanso di drizzano incredibilmente, le sopracciglia si inarcano come a imitare l'arc du triomphe, e sussurro 'Lutezio (Lu), lutezio (Lu), lutezio (Lu), lutezio (Lu), lutezio (Lu)'. Sento di esistere, e sento di aver finalmente dichiarato la mia esistenza al mondo. Chiudo la finestra, stringo la maniglia e capisco che il mondo mi aveva già annotato in registri silenziosi e che stanotte ho compiuto un passo molto più lungo, ho dichiarato la mie esistenza a me stesso, ho dichiarato amore al mio fottuto culo. Sono Lutezio (Lu) e qualcosa dovrà pur voler dire.

P.s: Riconosco che questo post dice meno di quel che dovrebbe, il contenuto bastardamente si cela dietro piccoli frammenti di silicio (Si) lavorato...

domenica 31 agosto 2008

Ritrovarsi

La saliva si bagna di sangue, sono anni di apnea e torno a respirare. Sono nato per vivere e non viceversa. Sento, ascolto, sorrido stupidamente vedendo che il mio braccio riflesso nel monitor sembra più grosso e molto più agricolo. Torno a provare qualcosa, mi emoziono per nulla, sono una quindicenne isterica al concerto di una band del cazzo!! Odoro il profumo di sedili nuovi e mi viene da pensare che in fondo è giusto essere felice per così poco. Il mio stomaco diventa un vortice color arcobaleno. Sento il sangue che pompa nel mio pene che struscia contro il cotone delle mutande . Sorrido allargando leggermente la mia bocca. I miei occhi ripredono quota, soprattutto nella zona vicino alle tempie, si allungano fino a diventare le ali di un gabbiano che inizia a volare ridicolizzando la realtà e burlandosi della sua bidimensionalità e rivedicando la maestosità dei sogni. Ritrovo costellazioni tra i nei, tra le luci di un piccolo paese umido, tra le macchie d'acque di un finestrino posteriore. Vedo la mia ombra e la risento vicina dopo tanto tempo. Sento l'aridità nelle mie guancie, sorrido delle formiche sulle gambe e del dolore sul tallone destro che deve sopportare il peso di entrambe le gambe accavalate. Mi accorgo che sorrido perché sto scrivendo in tempo reale, come un tredicenne... Ho ritrovato la voglia di guardare fuori da un finestrino posteriore e sinceramente meglio di così questa sera proprio non poteva andare.

lunedì 28 luglio 2008

Direzione nord nord sud

La lotta imperversa, si consumano stragi in ogni punto del mio corpo, è guerra aperta. Gli ateniesi guidati da Temistocle sfidano i Persiani tra i succhi gastrici ma stavolta c'è sostanziale equilibrio. La flotta di Serse, memore della batosta storica, in esubero numerico e con maggiori mezzi economici da filo da torcere all'impareggiabile strategia e cuore nemico. Le chiglie persiane sono maggiormente resistenti agli acidi, tuttavia la capacità d'osservazione del territorio del nemico e la paziennza mostrata rendono la battaglia lunga ed incerta. Lasciando Salamina, e attraversando lo stretto dell'epiglottide, viaggiando arriviamo alla gola, dove l'avanzata incessante di Annibale, talmente inarrestabile da risultare quasi abitudinaria, calma viene disturbata dagli improvvisi attacchi del più placido dei generali. L'esito sembra scontato ma il conflitto continuo, si trascina scorre lento, infiammato solo dai violenti attacchi del Temporeggiatore e logorato dal tempo. Uscendo dalla labbra, e passeggiando su tratti di epidermide scorgiamo le vicissitudini che si consumano tra iridi, cristallini e cornee e qui la lotta si fa morbida, liquida, incosistente ma illogica, atemporale. Aristotele e Aristarco, in fondo attratti l'uno dall'altro perché altrimenti non potrebbe essere, si sfidano con vigore interrogandosi su ciò che è meglio osservare, facendo frenetiche corse all'adattamento più logico e semplice. Immergendosi nell'occhio e vagando per i nervi non si può non arrivare al cervello. Qui la sfida è sottile e si spende tra una Pepsi e una cicuta. La sfida si consuma tra Socrate e Gorgia, tra affondi di avverbi quali sicuramente, forse, talvolta e sempre. La sfida li avvicina, li accomuna rendendoli più umani e meno ascetici, ma più i due sono vicini e più la lotta si fa dura, violenta, feroce, presa da se stessa, gustosa, sanguigna. Ci spostiamo, non sicuri di poter comprendere ciò che abbiamo davanti e andiamo verso il cuore ma troviamo tutto chiuso, custodito, non si sa bene per quale motivo. A volte si nasce dipoli, si passeggia avanti e indietro senza direzioni o con più di una. A volte nasciamo dipoli, sinonimi e contrari di noi stessi. Ciò è un magnifico difetto di cui vantarsi ed un terribile pregio da sopportare e davvero non si riesce a capire come potrebbe essere altrimenti.

domenica 8 giugno 2008

Si dai, meglio un Tum-Tum di un Ciuf-Ciuf..

Inscatolati. Ci sentiamo piccoli trenini elettrici che girano in una scatola di color blu chiaro. Ci deve essere un piccolo buco nella scatola ma possiamo solo immaginarlo. Le nostre traiettorie, che non si schiodano dai bordi della scatola se non in curve dal raggio molto piccolo che ci evitano di fare frontali negli angoli, non ci permettono di vedere la luce che da un senso alla nostra vista. Passiamo sempre lì, e la cosa si nota perché anche se non ci sono binari la scatola inizia ad essere un pò consumato e il blu chiaro un pò opaco sta diventando sempre più scuro e lucido, si contorce, si sgretola sotto la nostra ferraglia. Ci divertiamo spesso a cambiare gli ornamenti e della nostra locomotiva, cambiando le combinazioni tra rosso e nero, mettendoci qualche spruzzo di giallo che richiami l'oro là sulle finiture senza esagerare per non sembrare troppo finti, pacchiani. Le curve, fatte lentamente ci danno una sensazioni di ebbrezza, un senso di cambiamento che però è statico, immobile. In fondo la curva è solo un tratto prima di un'altro immenso rettilineo. A volte siamo vagoni neri con ornamenti rossi, a volte siamo carrozzoni lunghi e bassi per sedici squadroni di nani fascisti in missione contro la strega con bacinelle di olio di ricino. A volte siamo più colorati, pieni di finti Paul Gauguin e di vere balinesi con i loro culoni e tettone materni. Dipende. Se siamo veramente fortunati dopo una curva ci trasformiamo in palline rimbalzine, con sfumature bianche ingiallite dal tempo e rosa e iniziamo a girare senza controllo, agitati, ebbri, trasandati, sporchi, tocchiamo nuovi punti della scatola e ci sporchiamo tirando su polvere che giace lì da anni. Ci sporchiamo ma continuiamo, lerci e grigi, palline invecchiate. Spostandoci ci capita di visitare posti talmente luminosi, che distogliamo lo sguardo per non giocarci le nostre pupille che ora si contraggono a fatica. Ci capita di vedere il buco da dove entra la luce e iniziamo a roteare più forte. Abbiamo la sensazione, non comprovata dai fatti, che così riusciremo a passare dal buco. Non riusciamo a vederlo, è troppo luminoso per noi, ma ci crediamo, ci speriamo, ci tentiamo. Crediamo che la bellezza e la pioggia non siano altro che stati d'animo. Rimbalzo.... Rimbalzo.... Rimbalzo....

domenica 30 marzo 2008

Sabato

Una granitina di color marrone chiaro riempe un modestissimo contenitore di vetro, la musica inonda le mio orecchie picchiando sul timpano come un bongo di un paese lontano, mi sento perso. Il mio sguardo è lì, il mio pensiero finge di essere altrove ma lo accompagna, suda insieme all'intonaco delle pareti, sgocciola insieme alla spinatrice, e si satura di sudore, sniffa, fatica e arranca. Ho un tubo di plastica da un pollice infilato in gola, che mi danza facendo movimenti sussultori sulla laringe, le labbra, il tempo e la mente scivolano sul lato di un bicchiere troppo colmo di ghiaccio per i miei gusti. Lo sguardo vaga tentando, cercando, fingendo, mostrandosi sicuro sul destino degli altri come a leggere un racconto dell'infanzia fin troppo noto per meritare una ripassata. Sorrido, svelando una sicurezza che appartiene ad altri, che rivela indecisione, timidezza. La cosa è ridicola, ma in fondo mi intenerisce, mi scioglie come cioccolato al latte in una pubblicità di marca autorevole. Sento che i 37 gradi non sono più di moda, sento di essere almeno a 42, ma ancora non basta. Scemo. Combatto, mi indigno e mi arrendo lasciandomi scivolare in un sonno di durata indefinita. Il mio pensiero si perde in una pupilla nera, profonda come un pozza di petrolio, talmente fonda che mi sembra di annegarci dentro, di perderci il fiato, il respiro.
Risalgo arrancando, e mi lascio trasportare nell'iride, sto fermo e salto nell'iperspazio, vedo mille colori, mi risveglierò in una galassia che non sarà più questa, in un pianeta che non sarà più questo, in un'aria che avrà un profumo nuovo e leggero, sorridente, leggiadro, leggero. Mi perdo in un'iride, ci affogo in mezzo, ed è dolcemente straordinario. Un'onda di zucchero mi percuote, mi suona il cervello felicemente insoddissfatto.

P.s: Errori credo molti. Guardate l'ora e capitemi. Questo post è dedicato al mio amore di una sera.

giovedì 6 marzo 2008

Voglia

Mi alzo in piedi, sento sfrusciare i miei jeans blu scuro... Ero inginocchiato con i piedi sotto il sedere e visto la serata uggiosa probabilmente qualche macchia di fango è rimasta appiccicata alla mie tasche posteriori. Il tempo è una merda ma non fa freddo. Mi alzo, il braccio si stende, la mano si chiude in un pugno. Mi accorgo ora di essere sul sedile posteriore di una macchina scura, ma non riesco a ricordarmi chi guida, proprio stasera non ce la posso fare.. Mi accorgo che il braccio è ancora disteso come ad immortalare il momento, come fosse una fotografia, le linee che vanno dal gomito al polso sono precise, ben definite, non me ne ero mai accorto. Non faccio in tempo a farmi sorprendere dalla linearità del mio avambraccio che una zaffatta di gin proveniente da uno qualsiasi dei miei cinque stomaci mi scalda l'esofago, mi rabbrividisce la schiena fino ad arrivare al mio naso. Sono infastidito, i miei occhi si chiudono come se accusassero il bagliore di flash, la mia bocca è spenta, gracchiante, raspia, sento di essere un posacenere. L'aria fredda e la velocità mi asciugano i sensi, mi accorgo di essere in piedi su un sedile posteriore con la testa fuori dalla capotta della macchina. Ho sfondato il soffitto di questa maledetta auto ma il maniera bella, artistica.. Intorno a me vi sono petali di metallo neri lisci, mischiati, a pezzetti di plastica grigia, ripiegata su loro stessi come foglie.. La plastica rende ancora meglio, laddovè si vedono le pieghe è più chiara, come fossero venature, come se la vita scorresse più nelle curve che nelle rette. Sento, di avere freddo, l'aria mi consuma le lacrime e non riesco a leggere il cartello bianco con scritta nera al bordo della strada, ma sento di intenderlo, sento che ora non potrebbe eserci scritto altro... Lo urlo, lo urlo, infiammo la mia gola, sento piccoli pezzi infuocati danzare sulla mia laringe trasporti da lava sporca di cenere.. Lo urlo fino a che la cenere non mi ingolfa la bocca.. "Voglia Voglia Voglia Voglia Voglia"... I miei jeans scrosciano, ricadono senz'anima, la scarpe si incastrano sotto un sedile di un nero scolorito, le maniche della camicia si allungano fino a ricoprire il braccio, la cenere si ferma... Mi sveglio, sono davanti a casa, saluto e percorro alcuni passi facendo poi un cenno con la mano per salutare. Alzo più del solito la gamba destra per evitare lo scalino del marciapiede e passo davanti ad una macchina di color turchese. Un gatto verde riposa sul calduccio del cofano della macchina probabilmente parcheggiata lì da pochi minuti e quando mi vede si spavente e se ne va. Le sue piccole zampe sporche lasciano una scritta sull'auto. Non riesco a leggerla, non posso.. Ma stasera mi sembra che non potrebbe esserci scritto niente di diverso.. Un liquido mi bagna ancora la gola. Tiepido, quasi bello, le labbra si aprono ma senza troppo sforzo quasi come appartenenti ad un corpo senza vita: "Voglia Voglia".


P.s: Questo post l'ho vomitato più che scritto e quindi non mi sembra giusto correggere gli errori e rileggerlo.